Sotto le macerie Nicola Cavicchi, Leonardo Ansaloni, Gerardo Cesaro e Naouch Tarik che si era messo in salvo ma poi è rientrato
SANT'AGOSTINO (Ferrara) - Poteva essere una strage di fedeli se la terra avesse tremato così solo qualche ora dopo. Ricca di chiese e di campanili in parte crollati, questa landa padana di confine fra Emilia, Lombardia e Veneto, così piatta da non scorgere all'orizzonte neppure una collina, ha scritto invece la pagina più nera degli operai della notte. Ben prima che sorgesse il sole Nicola Cavicchi, Leonardo Ansaloni, Gerardo Cesaro e Naouch Tarik erano tutti al lavoro, chi a scaricare lastre di alluminio, chi alle prese con i forni delle ceramiche, chi a controllare il polistirolo. Tutti turnisti dalle 20 alle 6 del mattino, sotto i rispettivi capannoni, così movimentati e assordanti da non accorgersi della prima scossa, quella dell'una di notte. «Non l'abbiamo sentita, c'era il rumore delle presse», ha detto Ghulam Murtaza, il miracolato della Tecopress. Tutti assunti, regolari, Ansaloni e Casaro con moglie e figli da mantenere, i più giovani Cavicchi e Tarik con il sogno della famiglia. «Nicola si era fatto un mutuo e una casa e voleva sposarsi, pensava a questo» ha detto suo fratello Cristiano. «Naouch stava aspettando il ricongiungimento con sua moglie Widad, risparmiava per questo», sospirava il papà del giovane marocchino. Per questo lavoravano anche di notte, anche il sabato notte. Eppure la domanda che molti si facevano domenica mattina davanti alle macerie era quella sospetta: come mai sotto i capannoni alle quattro del mattino?LE VITTIME
Naouch Tarik, 29 anni
NAOUK —Si chiamava Naouch Tarik, aveva 29 anni ed era arrivato
nel 1994 in Italia da Beni Mellal, Marocco, con papà Mustafà e mamma
Fatiha. Operaio da sei anni della Ursa di Bondeno, una fabbrica di
polistirolo, sabato notte non ce l’ha fatta a sfuggire al crollo. Dopo
essere uscito perché tremava tutto, dice un suo collega, Naouch è
tornato nel capannone a riprendere qualcosa o forse a chiudere il gas.
«Sostituiva il capoturno, si sarà sentito responsabile. Mi hanno detto
che gli è caduto addosso qualcosa », sussurra il padre con gli occhi
lucidi, mentre poco più in là la madre urla di dolore e il fratello
Hassan scuote la testa. E mentre lo dice la terra sussulta forte
un’altra volta, alle 15 e 18, anche se lui non ci fa più molto caso:
«Naouch era importante per me», ripete. Vivono in una grande casa
immersa nelle campagne modenesi di Bevilacqua. Ci sono anche le due
sorelle, un cognato e un’altra ventina di persone fra cui il console del
Marocco a Bologna, Driss Rochdi. Il cognato alza un po’ i toni: «Voglio
capire perché la struttura non ha retto». Il console usa la diplomazia:
«Un grande dispiacere, confido nelle autorità italiane». Naouch, dicono
tutti, era persona allegra e sportiva. Aveva chiesto da poco la
cittadinanza italiana perché voleva portare a Bevilacqua Widad, la sua
giovane moglie marocchina. Rimasta vedova a 18 anni.
La fabbrica dove è morto Gerardo Cesaro, 55 anni
GERARDO —Era l’uomo del
muletto, l’operaio più esperto, 55 anni, una vita nella Tecopress di
Dosso, fabbrica a ciclo continuo di lamierati per macchine. E lui, alle
quattro del mattino si trovava al centro del capannone con il suo mezzo a
caricare lastre di alluminio. L’ultima, drammatica corsa di Gerardo
Cesaro di Molinella, sposato con due figli, la racconta l’operatore
pachistano delle presse, Ghulam Murtaza: «A un tratto si è mosso tutto,
una cosa forte, molto forte, mi sono detto è finita e siamo scappati
fuori. Gerardo era sul muletto, l’ha fermato e anche lui ha iniziato a
correre. Ma era indietro. Appena siamo passati dalla porta è venuto giù
tutto. Lui era vicino all’uscita ma non è riuscito a evitare le lamiere
che hanno distrutto tutto, anche la mia macchina parcheggiata fuori».
Murtaza ha 40 anni, una moglie, quattro figli e 1.400 euro al mese di
stipendio. «Gerardo era un uomo molto bravo e molto gentile». Per la
notte, che sarebbe finita alle sei, lavoravano in dieci. Fra questi
anche il nigeriano Casmir Mbanoske, che il titolare dell’azienda, Sergio
Dondi, ha accompagnato a casa ieri insieme con Murtaza, rimasti
appiedati. Siccome nessuno dei suoi connazionali l’ha più rivisto, una
decina di amici di Casmir hanno protestato fuori e dentro i cancelli
della Tecopress. «Stiano tranquilli, il loro amico prima o poi si farà
rivedere », hanno tentato di tranquillizzarli i carabinieri.
Nicola Cavicchi, 35 anni
NICOLA —Era stata una sua
piccola conquista quella del turno di giorno alla «Ceramica
Sant’Agostino». Ma venerdì e sabato a Nicola Cavicchi è toccata la
notte. Un piacere al collega che non poteva andare al lavoro, una fatale
sostituzione. L’hanno trovato sotto una trave del reparto altoforni,
crollato con la scossa delle 4 del mattino. Senza vita. «Nicola è morto
sul colpo — non ha dubbi suo fratello Cristiano —. Bastava qualche metro
più in là e forse si sarebbe salvato». Perito elettrotecnico, 35 anni,
ferrarese di San Martino, Nicola era stato assunto come manutentore.
«Aveva provato per un po’ a fare l’elettricista in proprio, ma alla fine
i conti non tornavano». Il suo pallino era il calcio. Accanito tifoso
del Milan, ha giocato fino allo scorso anno come difensore di fascia del
San Carlo, una squadra dilettantistica locale. Altra passione, il mare.
«Andava ai Lidi Ferraresi il fine settimana. Ricordo che venerdì
scorso, dopo aver accettato la sostituzione, ha guardato le previsioni,
ha visto due gocce sull’Adriatico e ha detto "ma sì, non mi perdo un
granché"». Sognava una famiglia. «Si era fatto anche la casa, sotto la
mia, pensando di sposarsi con la fidanzata ma poi gli è andata male e si
sono lasciati». Domenica notte alle 4.15 Cristiano ha iniziato a
chiamarlo: «Ma lui niente, niente, niente...».
Le macerie dell'altoforno dove è morto Leonardo Ansaloni, 51 anni
LEONARDO — Era la prima notte
in fabbrica dell’operaio Leonardo Ansaloni, addetto agli altoforni. È
stato sorpreso dal crollo del tetto mentre tentava la fuga con il
collega Nicola Cavicchi. Entrambi dipendenti della Ceramica
Sant’Agostino che con i suoi 380 addetti rappresenta il colosso
industriale di questo piccolo centro nato fra i campi di grano del
Ferrarese. Cinquantuno anni, originario di Bondeno, viveva a
Sant’Agostino con la moglie Gloria e i loro due figli di 8 e 18 anni.
Lavoro pesante il suo, conduttore dei forni ceramici, cioè cuoco delle
lastre da pavimento e rivestimento che l’azienda produce e distribuisce
in mezzo mondo. A differenza di Cavicchi, per il quale i primi
soccorritori hanno capito subito che non c’erano margini di salvezza,
Ansaloni è rimasto aggrappato alla vita per un po’. Poi, in mattinata,
il cedimento. Il responsabile di stabilimento non si dà pace: «Giovanni è
corso a chiamarmi dicendomi che erano rimasti sotto, ma io non riuscivo
ad aiutarli». Giovanni è Giovanni Grossi che si trovava con loro
nell’ala vecchia dello stabilimento ed è il miracolato della notte.
Davanti agli occhi dei dirigenti rimane un immenso groviglio di legno,
ferro e ceramica. C’è chi piange, chi si dispera, chi tace. «È una lama
nel cuore di Sant’Agostino».21 maggio 2012 | 8:13
è il miracolato della notte. Davanti agli occhi dei dirigenti rimane un immenso groviglio di legno, ferro e ceramica. C’è chi piange, chi si dispera, chi tace. «È una lama nel cuore di Sant’Agostino».
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