martedì 28 maggio 2013

"Vescovi e preti stiano alla larga da ricchezza e vanità!" Papa Francesco

Gesù è realista e non vuole ingannarci. Essere Suoi discepoli, se lo siamo veramente, ci porterà difficoltà, problemi. Ma Gesù considera le persecuzioni e le difficoltà come un premio, giacchè ci aiutano a crescere, se le sappiamo accettare e vivere come un’occasione per guadagnare in maturità e in responsabilità. Tutto quello che è motivo di sacrificio ci fa rassomigliare a Gesù che ci salva con la sua morte sulla Croce.
"Vescovi e preti stiano alla larga da ricchezza e vanità!"

«Quando un prete, un vescovo va dietro ai soldi, il popolo non lo ama e quello è un segno. Ma lui stesso finisce male». Papa Francesco, celebra messa a Santa Marta e spiega che San Paolo ricorda di aver lavorato con le sue mani: «Non aveva un conto in banca, lavorava!». Poi scandisce: «E quando un vescovo, un prete va sulla strada della vanità, entra nello spirito del carrierismo e fa tanto male alla Chiesa, fa il ridicolo alla fine, si vanta, gli piace farsi vedere, tutto potente. E il popolo non ama quello!». Sono la «ricchezza» e la «vanità» le due tentazioni dalle quali devono guardarsi vescovi e preti, dice. E chiede di pregare perché siano «pastori» e non «lupi».
Papa Francesco














«Quando un prete, un vescovo va dietro ai soldi, il popolo non lo ama e quello è un segno. Ma lui stesso finisce male». Papa Francesco, celebra messa a Santa Marta e spiega che San Paolo ricorda di aver lavorato con le sue mani: «Non aveva un conto in banca, lavorava!». Poi scandisce: «E quando un vescovo, un prete va sulla strada della vanità, entra nello spirito del carrierismo e fa tanto male alla Chiesa, fa il ridicolo alla fine, si vanta, gli piace farsi vedere, tutto potente. E il popolo non ama quello!». Sono la «ricchezza» e la «vanità» le due tentazioni dalle quali devono guardarsi vescovi e preti, dice. E chiede di pregare perché siano «pastori» e non «lupi».

venerdì 17 maggio 2013

Mafia, la Dia Catania sequestra beni per 1,5 milioni



Sono riconducibili ai fratelli Alfio e Salvatore Tancona, ritenuti elementi di spicco del clan Cintorino, collegato alla cosca dei Cursoti




CATANIA. Beni per 1,5 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia di Catania ai fratelli Alfio e Salvatore Tancona, ritenuti elementi di spicco del clan mafioso Cintorino, collegato alla cosca dei Cursoti.
Le proposte, che riguardano anche i loro rispettivi figli maschi, i cugini omonimi Salvatore Tancona, erano state presentate dalla Dda della Procura etnea su indagini della Dia nell'ambito dell'operazione Nuova Ionia, sfociata nell'arresto di 22 indagati nel gennaio scorso.

Ci sono immobili, conti correnti ed imprese commerciali tra i beni per un valore di 1,5 milioni di euro sequestrati dalla Dia di Catania ai fratelli Alfio e Salvatore Tancona, ritenuti elementi di spicco del clan mafioso Cintorino, collegato alla cosca dei Cursoti. I beni sono un

immobile abusivo su un terreno a Fiumefreddo di Sicilia (Catania), intestato al padre Carmelo, e vari conti correnti bancari e postali; tre imprese commerciali: una rivendita di generi alimentari, un bar-tabacchi e una ricevitoria del lotto a Fiumefreddo di Sicilia e a Taormina (Messina); una società, con sede a Fiumefreddo, per la gestione di esercizi pubblici in genere. Sono inoltre stati sequestrati 10 veicoli, tra cui un autocarro ed un furgone. Alfio e Salvatore Tancona sono attualmente detenuti per delitti di mafia. Erano stati già raggiunti da una ordinanza di custodia cautelare in carcere nel maggio del 2012 e, unitamente ai rispettivi figli, nel gennaio del 2013, nell'ambito dell'operazione «Nuova Ionia», per associazione per mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, delitti in materia di armi. Le indagini hanno accertato anche un consistente traffico di droga e la detenzione e il porto di armi, attività criminali che sarebbero state capeggiate dalle famiglie Tancona e da Roberto Russo. Accertamenti sui redditi dei fratelli Tancona hanno permesso di identificare diversi cespiti patrimoniali di cui sarebbero stati titolari, benchè formalmente fossero intestati a loro parenti prossimi. Le indagini hanno evidenziato forti profili sperequativi tra i redditi dichiarati e il patrimonio posseduto tali da fondare la presunzione di un'illecita acquisizione patrimoniale derivante dalle attività delittuose connesse all'organico e prolungato inserimento dei fratelli Tancona nell'organizzazione.

martedì 14 maggio 2013

Ma quanto è difficile che il vigore profetico sciolga il cuore corrotto.

Papa Francesco lava i piedi a un detenuto
 E’ talmente arroccato nella soddisfazione della sua autosufficienza da non permettere di farsi mettere in discussione “ accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio”.

Si sente a suo agio nella progettazione sei suoi piani e se le cose si mettono male conosce tutte le scuse per cavarsela.


Papa Francesco con la Croce
                                                                                                Il corrotto ha costruito una autostima che si fonda su questo tipo di atteggiamenti fraudolenti, passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo al prezzo della sua stessa dignità. Il corrotto ha la faccia del non sono stato io e finisce per crederci.


Primo piano di Papa Francesco

Papa Francesco 
E quanto è difficile che dentro di lui possa entrare la profezia. Una delle caratteristiche del corrotto è l’inquestionabilità.


Si offende di fronte alle critiche, discredita la persona che lo mette in crisi,ricorre a sofismi e equilibrismi, sminuisce gli altri e attacca con l’insulto quelli che lo possono disgelare.

martedì 7 maggio 2013

Il disastro dell'euro spiegato trent'anni prima


Il disastro dell'euro spiegato trent'anni prima

Milano, (TMNews) - "Non parla, ma sussurra. Non dice, ma allude. Non afferma, ma annuisce. Non nega, ma scuote enigmaticamente la testa". Così il giornalista Enzo Bettiza tratteggiava il profilo di Romano Prodi, in un articolo sul quotidiano La Stampa. Accennava a "quel dimesso fascino familiare", come chiave delle alterne fortune del Professore, l'"uomo capace di attraversare i governi e i sottogoverni della prima repubblica e di riemergere sugli altari della seconda". Romano Prodi ha ricoperto tanti incarichi di primo piano, nella politica quanto nell'economia italiana. Due volte premier, più volte ministro e al vertice di grandi istituzioni quali l'Istituto per la ricostruzione industriale. Nato a Scandiano, nel Reggiano, il 9 agosto del 1939, Prodi si affaccia per la prima volta in politica a 24 anni, quando diviene consigliere comunale a Reggio Emilia per la Democrazia Cristiana. Ma alla politica preferisce presto l'economia e l'impegno accademico come assistente a Bologna di Beniamino Andreatta. La scalata al successo passa proprio attraverso le competenze economiche che lo riportano a Roma come ministro dell'Industria in un governo Andreotti nel 1978 e poi come presidente dell'Iri nel 1982: lì inaugura la stagione delle grandi privatizzazioni, dalla Sme all'Alfa Romeo, che tante critiche gli valsero. Seguono altri incarichi ai vertici delle istituzioni italiane, con una prestigiosa parentesi in Europa da presidente della Commissione europea, dal 1999 al 2004: toccherà a lui tenere a battesimo, nel 2002, l'Euro, la moneta unica che abbatterà i confini economici all'interno del Vecchio Continente. Terminata con successo l'esperienza a Bruxelles, Prodi torna in Italia come autorevole candidato del centrosinistra da contrapporre a Silvio Berlusconi. Dopo un primo giro da premier nel 1996 nominato con l'Ulivo, il Professore torna, infatti, nel 2006 a palazzo Chigi con l'Unione. Ma l'incarico dura poco, il suo governo è sopraffatto dalle divisioni interne. Prodi lascia il mondo della politica, torna a dedicarsi ai suoi studi, assume l'incarico di inviato Onu in Sahel. E soprattutto si dedica alla famiglia e alla passione per la bicicletta nella sua amata Bologna.


Uno degli aspetti più inquietanti e forse il più criminale, che hanno portato alla nascita della moneta unica, risiede proprio nel fatto che il suo fallimento era già stato previsto almeno tre decenni prima della sua nascita.
La sua insostenibilità era già stata scritta e documentata scientificamente da autorevoli economisti, appartenenti a differenti scuole di pensiero economico, che denunciarono, già a quell'epoca, quelle che sarebbero state le conseguenze in termini di macelleria sociale, di aggressione dei diritti e dei salari del ceto medio popolare, che si sarebbero determinate per effetto della creazione di un'area valutaria non ottimale tra nazioni con strutturali differenze economiche.
Agganciare la valuta della Germania a quella di Paesi economicamente più deboli e con inflazione più alta, senza prevedere meccanismi certi ed automatici di riequilibriofra i Paesi in surplus e quelli in deficit, non poteva non determinare la costruzione di un rapporto asimmetrico: da una parte la Germania e i Paesi forti nel ruolo di leaders, dall’altra i Paesi più deboli nel ruolo di followers, impossibilitati a recuperare competitività e sostanzialmente costretti a riprodurre le politiche economiche e sociali tedesche, con le conseguenze che vediamo oggi, dopo dieci anni di moneta unica (la quale rappresenta il caso “estremo” di sistema valutario a cambi fissi): deflazione, spinta al ribasso dei diritti e dei salari dei ceti medi e popolari, innalzamento della disoccupazione, politiche di rigore destinate a portare il Paese ad avvitarsi in spirali recessive.
Ma si è voluto procedere ugualmente, nonostante si conosce perfettamente che il progetto dell'euro non sarebbe potuto essere sostenibile. Ciò per il semplice fatto che, secondo una consolidata scuola di pensiero adottata dai padri fondatori, le crisi che si sarebbero avute successivamente, avrebbero creato di per se le condizioni (anche nell'opinione pubblica) per favorire una maggiore integrazione politica e fiscale ritenuta, secondo loro, indispensabile per sanare divergenti aree con caratteristiche economiche, fiscali e sociali differenti.
Tant'è che lo stesso Mario Monti, qualche mese fa, intervenendo ad un dibattito, ha affermato:« Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti.
I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario.
…È chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale, possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto, visibile, conclamata. »Quello che segue, è un testo scritto dall’economista post Keynesiano Nicholas Kaldor nel1971 quando la moneta unica europea era solo un progetto sulla carta che si sarebbe realizzato circa 30 anni dopo, in “Effetti Dinamici del Mercato Comune” pubblicato inizialmente su New Statesman il 12 marzo 1971 e ristampato anche (come capitolo 12, pp 187 – 220) in “Altri Saggi di Economia Applicata” – volume 6 della Raccolta di saggi economici di Nicholas Kaldor. Abbiamo evidenziato in grassetto alcuni passaggi. E’ particolarmente significativo che Kaldor abbia precisamente previsto le cause della crisi dell’euro: lo squilibrio commerciale e della bilancia dei pagamenti a causa di un regime di cambi fissi in assenza di regole sui salari, un fisco centralizzato e riequilibratori automatici. Trent’anni prima che l’euro nascesse era perfettamente chiaro perché non avrebbe funzionato.Kaldor, nel 1971, scriveva: da Keynes blog,"…Un giorno le nazioni d’Europa saranno pronte ad unire le loro identità nazionali e a creare una nuova Unione Europea – gli Stati Uniti d’Europa. Se e quando lo faranno, ci sarà un Governo Europeo che assumerà tutte le funzioni che fanno capo al Governo Federale degli Stati Uniti d’America, o del Canada o dell’Australia. Questo implicherà la creazione di una “piena unione economica e monetaria”. Ma si commette un errore pericoloso nel credere che l’unione politica e monetaria possa precedere l’unione politica o che opererà (come si legge nelle parole del rapporto Werner) “un agente di fermentazione per la creazione di una unione politica della quale nel lungo non sarà in ogni caso in grado di fare a meno”. Poiché se la creazione di una unione monetaria e il controllo della Comunità sui bilanci nazionali saranno tali da generare pressioni che conducono ad una rottura dell’intero sistema, è chiaro che lo sviluppo dell’unione politica sarà ostacolato e non promosso.
Altri estratti dal capitolo:pag. 202Gli eventi degli ultimi anni – in cui si evidenziava la necessità di una rivalutazione del marco tedesco e di una svalutazione del franco francese – hanno dimostrato l’insufficienza della Comunità stante l’attuale grado di integrazione economica. Il sistema presuppone piena convertibilità delle valute e cambi fissi tra gli stati membri, lasciando la politica monetaria e fiscale alla discrezione dei singoli stati.Sotto questo sistema, come gli eventi hanno dimostrato, alcuni paesi tenderanno ad acquisire crescenti (ed indesiderati) surplus commerciali nei confronti dei loro partner commerciali, mentre altri accumulano crescenti deficit. Ciò porta con sé due effetti indesiderati. Trasmette pressioni inflazionistiche da alcuni membri ad altri; e mette i paesi in surplus nelle condizioni di fornire finanziamenti in automatico ai paesi in deficit in scala crescente.
,Pag. 205…. Questo è un altro modo per dire che l’obiettivo di una piena unione monetaria ed economica non si può ottenere senza una unione politica; e la seconda presuppone integrazione fiscale e non mera armonizzazione fiscale. Essa richiede la creazione di un Governo e Parlamento della Comunità che si assumano la responsabilità almeno della maggior parte della spesa attualmente finanziata dai governi nazionali e la finanzi attraverso tasse equamente ripartite tra i membri comunitari. Con un sistema integrato di questo tipo le aree più ricche finanziano in automatico quelle più povere, e le aree che sperimentano un declino delle esportazioni sono automaticamente alleggerite pagando meno e ricevendo di più dalla Fisco centrale. La tendenze cumulative all’aumento e alla diminuzione sono così tenute sotto controllo da uno stabilizzatore fiscale costruito all’interno del sistema che consente alle aree in surplus di fornire automaticamente aiuto a quelle in deficit.
Pag. 206…quel che il Rapporto sbaglia nel riconoscere è che l’esistenza di un sistema centrale di tassazione e spesa è uno strumento per l’erogazione di “aiuti regionali” molto più potente di qualunque cosa che l’“intervento speciale” per lo sviluppo delle regioni sia capace di fornire.
D’altra parte l’attuale piano della Comunità è come quella casa che “divisa contro se stessa non riesce a stare”. L’Unione monetaria e il controllo della Comunità sui bilanci impedirà ad ogni singolo stato membro di perseguire autonome politiche di piena occupazione – di intervenire per compensare le cadute del livello della produzione e dell’occupazione – eccetto che non beneficiando dell’appoggio di un forte Governo comunitario in grado di preservare i suoi cittadini dalle conseguenze peggiori.
Pag. 192Myrdal coniò la locuzione “causazione circolare e cumulativa” per spiegare perché il tasso di sviluppo economico delle diverse aree del mondo non tende ad uno stato di equilibrio uniforme ma, al contrario, tende a cristallizzarsi in un numero limitato di aree ad elevata crescita il cui successo ha l’effetto di inibire lo sviluppo di altre aree. Questa tendenza non potrebbe operare se le variazioni dei salari monetari fossero sempre tali da compensare la differenza nei tassi di incremento della produttività. Tuttavia non è questo il caso che si verifica: per ragioni forse non pienamente comprese, la dispersione nei tassi di aumento dei salari tra le diverse aree tende sempre ad essere considerevolmente più piccola di quella relativa alle variazioni della produttività. E’ per questa ragione che in un’area valutaria comune, o in un sistema di valute convertibili con cambi fissi, le aree che crescono di più tendono ad acquisire un vantaggio competitivo cumulativo rispetto alle aree che crescono a tassi inferiori. I “salari efficienti” (calcolati come rapporto tra salari monetari e produttività) tenderanno, nel corso naturale degli eventi, a diminuire nel primo gruppo di paesi rispetto al secondo – anche nella situazione in cui nei due gruppi i salari monetari tendono contemporaneamente a crescere in termini assoluti. Proprio in ragione degli incrementi dei differenziali di produttività, i costi comparati di produzione nelle aree a maggior crescita tendono a diminuire nel tempo rispetto a quelli delle aree a minor crescita ed aumentano di conseguenza il vantaggio competitivo delle prime."
Il primo gennaio del 2002 l'euro è ufficialmente entrato nelle nostre vite. Il 28 febbraio dello stesso anno si è conclusa la fase della doppia circolazione della moneta unica e della cara vecchia... 

I DIECI PADRONI DEL GIOCO D'AZZARDO "LA TERZA INDUSTRIA DOPO LA FIAT"


Dubbi e sospetti sono stati sollevati nelle ultime settimane dalla Corte dei conti, dalla Direzione nazionale antimafia, dalla commissione parlamentare Antimafia e persino da una quarantina di parlamentari di tutti gli schieramenti politici che hanno presentato interrogazioni molto circostanziate. Il fatto è che sulle concessioni stanno per riaprirsi i giochi, visto che i contratti scadono il 16 maggio e che i requisiti di partecipazione diventano via via più rigidi. L'ultima legge di stabilità, a esempio, ha reso obbligatoria la "tracciabilità" di tutta la catena societaria di ogni  singolo operatore. C'è insomma chi rischia di non vedersi rinnovare la concessione. E qualcuno comincia a chiedersi come mai l'Aams – cioè l'amministrazione autonoma dei Monopoli – abbia permesso che lo Stato italiano diventasse partner di gruppi così poco trasparenti e abbia agito, come scrive la Dna guidata dal procuratore Pietro Grasso, "con grande superficialità" e "senza un approfondito esame dei soggetti che avevano presentato domanda".
Ma chi c'è in realtà dietro quelle società sotto i riflettori dell'antimafia? Perché i Monopoli hanno accolto aziende con proprietà a dir poco oscure, a cui di fatto viene affidato il ruolo di esattore fiscale? Come funziona il sistema di scatole cinesi delle imprese che operano in Italia con azionisti esteri e con finanziarie in paesi come Svizzera, Lussemburgo o Antille olandesi? Come finirà la partita del rinnovo delle concessioni?
Mentre sono in calo sale Bingo e scommesse tradizionali, il gioco online è in pieno boom. Tutto è cominciato nel 2004. Quando i Monopoli di Stato hanno affidato alle dieci concessionarie la gestione delle macchinette elettroniche: new slot nei bar e tabaccherie, e videolottery di nuova generazione in sale dedicate. Ecco com'è costituita in Italia la filiera, o "rete" del gioco legale, delle macchinette. Alle dieci concessionarie spetta la conduzione della rete telematica con l'obbligo di assicurarne l'operatività. Sono queste società a incaricare i gestori di installare gli apparecchi – attualmente 400 mila – poi affidati agli esercenti, i locali pubblici dove gli utenti giocano. Le concessionarie, come si è detto, hanno il delicato compito di esattori per conto dello Stato, in quanto oltre a incassare il proprio utile, incamerano anche il "Preu", prelievo erariale unico, che poi versano ai Monopoli. Il fatturato è appunto in continua crescita: dall'inizio della crisi del 2008, in due anni – secondo i dati di Agipronews – il volume d'affari del gioco d'azzardo di Stato (slot machine, videopoker, lotterie e scommesse sportive) è aumentato di 13 miliardi, passando dai 47,5 miliardi del 2008 ai 61,5 del 2010, il 3,7 per cento del Pil. E la raccolta del primo trimestre di quest'anno (18 miliardi di euro) conferma un trend positivio (più 17 per cento), rispetto allo stesso periodo del 2010. L'anno potrebbe dunque chiudersi con il record di 80 miliardi. Tanto più che nel Def – come ha denunciato qualche giorno fa il senatore Idv Luigi Li Gotti – il ministero dell'economia ha incrementato l'offerta dei giochi e ha previsto su questo fronte un aumento delle entrate erariali. E sempre pochi giorni fa un membro della commissione Antimafia, il senatore Raffaele Lauro del Pdl – ex commissario antiracket e antiusura – ha proposto una commissione parlamentare d'inchiesta sul gioco d'azzardo e ha presentato un disegno di legge per vietare ai minori di 18 anni di incassare vincite in denaro.
Ma vediamo quali sono le concessionarie. In prima fila Lottomatica e Snai, le uniche totalmente made in Italy. La prima è al 60 per cento della De Agostini Spa controllata a sua volta dalla B&D di Marco Drago e C, holding della storica famiglia Boroli. La Snai ha avuto un azionariato più diffuso e dopo gli ultimi cambiamenti di asset è controllata da due fondi di private equity che fanno capo uno alla famiglia Bonomi, l'altro a istituti bancari e assicurativi italiani. Sulla Snai c'è in corso un'Opa. Le altre otto, invece, presentano azionariati in parte o del tutto protetti da sedi estere. La Cogetech è di proprietà della Cogemat, Spa di proprietà al 71 per cento della OI Games 2 con sede a Lussemburgo. Gamenet è al 42 per cento (quota di maggioranza) della Tcp Eurinvest, sede Lussemburgo. Hbg è al 99 per cento di proprietà della lussembrughese Karal: solo l'1 per cento è di proprietà di un italiano, Antonio Porsia (che è anche l'ad), imprenditore definito dalla stampa finanziaria il nuovo numero uno delle sale da gioco. Il gruppo delle "lussemburghesi" è chiuso dalla Sisal, al 97 per cento della Sisal Holding finanziaria, Spa al 100 per cento della Gaming Invest, sede nel granducato.
Ci sono poi le società spagnole: Codere, al 100 per cento del gruppo Codere Internacional, e Cirsa di Cirsa international Gaming Corporation. Le altre due concessionarie sono G. Matica – al 95 per cento della Telcos, una srl con 126 mila euro di utile che è controllata per il 52 per cento dalla Almaviva Technologies (altra srl della famiglia Tripi) e per il 37 per cento della Interfines Ag, sede legale Zurigo – e Atlantis, oggi sostituita da B Plus Giocolegale limited, che ha la sede principale a Londra con 68 dipendenti e una "sede secondaria" a Roma.
Proprio la ex Atlantis – che controlla il 30 per cento del mercato dello slot machine – è al centro di dubbi e polemiche. A rappresentarla in Italia – sede in via della Maglianella 65 a Roma – con la qualifica di "preposto", figura il trentunenne catanese Alessandro La Monica. Prima di diventare parlamentare del Pdl in quota An, il rappresentante legale della Atlantis era Amedeo Laboccetta. A questa concessionaria la Direzione nazionale antimafia ha dedicato un intero capitolo. La Atlantis – si legge nell'ultimo rapporto della Direzione antimafia – con sede a Saint Martin nelle Antille Olandesi, è stata successivamente sostituita, in seguito a sollecitazione da parte dei Monopoli, dalla Società Atlantis Giocolegale con sede in Italia. "Gli amministratori – scrivono i magistrati antimafia – sono Francesco e Carmelo Maurizio Corallo, entrambi figli di Gaetano. La storia di quest'ultimo è abbastanza nota essendo stato già condannato per vari reati ed essendo notoria la sua vicinanza a Nitto Santapaola". "Si deve infatti rammentare che, come riferito da alcuni collaboratori, la famiglia Santapaola gestisce proprio nelle Antille Olandesi, e proprio a Saint Martin, un casinò presso il quale Gaetano Corallo fin dagli anni 80 svolgeva l'attività di procacciatore di clienti. Lo stesso aveva poi proseguito la sua collaborazione in altri casinò in varie zone dell'America, sempre riconducibili alla famiglia Santapaola". Raccontano i giudici che i fratelli Corallo hanno smentito di avere rapporti di affari con il padre Gaetano rivendicando la loro autonomia di imprenditori, e gli accertamenti espletati non hanno fatto emergere contatti sospetti, né con il padre, né con il direttore o altri funzionari dei Monopoli. "Proprio su questi aspetti – si legge ancora nella relazione – la Dda di Roma ha indagato Giorgio Tino (ex direttore dei Monopoli), nonché alcuni esponenti della famiglia mafiosa dei Corallo". La Direzione distrettuale antimafia romana ha scritto infatti: "Si appurava che lo svolgimento della gara e l'individuazione dei concessionari erano avvenute sulla base di criteri assolutamente formali, attenendosi unicamente alle conformità degli assetti societari dichiarati. Un esame più attento faceva però emergere sospetti di concentrazione occulta tra alcuni concessionari (formalmente distinti, ma che mostravano collegamenti sia di persone fisiche sia di sedi)".
A proposito dei rilievi della Dna alla Atlantis/Bplus, va registrata la replica dei Monopoli resa alla commissione Antimafia: "Atlantis sottoscrisse all'origine la concessione in qualità di mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese costituito anche da Plp. srl, Bit media srl e Consorzio Saparnet. Successivamente è subentrata a unico titolo nella gestione della concessione come Bplus. Abbiamo verificato i requisiti di tutti i soggetti per i quali risultassero posizioni di rappresentatività nell'ambito dell'azienda. La forma di controllo più importante è il certificato antimafia rivolte alle prefetture competenti". Resta da capire quali controlli antimafia, e attraverso quali prefetture, siano stati fatti per accertare la trasparenza degli azionisti "protetti" presso la sede legale di Londra.
La relazione della Dna, nel capitolo intitolato "infiltrazioni della criminalità organizzato nel gioco (anche) lecito", solleva appunto dubbi sui criteri con cui quale sono state scelte le concessionarie. E sull'atteggiamento "inerte dei Monopoli nei confronti di concessionarie di rete rimaste per lungo tempo inadempienti per molti degli obblighi assunti. E comunque indebitate in modo abnorme verso l'Aams per il mancato pagamento del Preu". Nel corso dell'inchiesta dei magistrati è risultato – caso Atlantis a parte – che alcune delle società concessionarie "avevano sede principale all'estero e oltretutto in Paesi caratterizzati da un'opacità fiscale, ma soprattutto mostravano collegamenti con persone fisiche oggetto di procedimenti penali". Pur se gli elementi indiziari raccolti non sono stati ritenuti sufficienti a concretizzare l'esercizio dell'azione penale, l'attività di indagine ha fatto emergere come le concessioni, in un settore di altissima valenza economica e a grave rischio di infiltrazione mafiose, "furono affidate con grande superficialità, senza alcun approfondito esame dei soggetti che avevano presentato domanda. E che la complessiva gestione dei Monopoli fu a dir poco disattenta tanto da provocare l'elevazione si sanzioni da parte della Corte dei conti". Quest'ultimo è un riferimento all'indagine dei giudici contabili del Lazio che nel 2007 avevano contestato a tutte le dieci concessionarie un danno erariale di 98 miliardi di euro provocato dal mancato collegamento delle slot machine alla rete telematica di proprietà dello Stato e gestita dalla Sogei. Il mancato collegamento ha impedito secondo i giudici la registrazione delle giocate e di conseguenza c'è stato il mancato pagamento dei tributi. Si tratta di un danno erariale, ancora oggetto di ricorsi, di 4 volte superiore alla manovra estiva varata dal governo la scorsa estate.
Ma come replicano i Monopoli a quelle critiche? L'Aams, va detto, è ben consapevole del rischio criminalità nel settore gioco. I suoi vertici alla commissione Antimafia hanno infatti dichiarato che "le più recenti indagini della gdf hanno mostrato che le mafie, in conseguenza della crescente e rapida diffusione di centri di scommesse del tutto legali sotto il profilo formale, intervengono in forma occulta o proponendosi come soci, investendo nel settore legale i proventi derivanti dal mercato nero". Una maggiore trasparenza nelle procedure di rilascio delle autorizzazioni, hanno ammesso i Monopoli, avverrà quando sarà attuata la legge di stabilità del 2011 le cui norme consentiranno infatti un maggior controllo "rispetto a organismi societari di residenza estera".
Le concessioni sarebbero dovute scadere nel maggio nel 2010: dopo la proroga di un anno, decadranno definitivamente a metà maggio. Cosa faranno i Monopoli: apriranno il mercato a nuovi gestori con criteri di maggiore trasparenza e con maggiore attenzione, come richiesto dalla Dna e dalla Corte dei Conti, oppure rinnoveranno i contratti alle attuali concessionarie dei cui azionariati esteri si sa poco o nulla? Alcune delle società concessionarie invocano griglie d'accesso più rigide. Controllare solamente i rappresentanti legali in Italia, dicono, non basta. Occore ricostruire il quadro completo degli azionisti, individuare chi c'è dietro le imprese e valutarne i requisiti. Dice Maurizio Ughi, amministratore delegato della Snai: "La nostra società è quotata in Borsa e ha una totale trasparenza sulla catena degli azionisti. Delle altre società ovviamente non posso parlare. Ma ora il "patto di stabilità" obbliga le concessionarie ad avere azionisti riconoscibili. Pertanto la situazione è semplice: chi si adegua alla legge, e svela tutti i proprietari che stanno dietro alle società, potrà avere il rinnovo della licenza. Gli altri dovranno restituirla". Per evitare che ci siano privilegi – aggiunge Ughi – e per rispettare le normative europee che prevedono l'apertura del mercato del gioco a nuovi operatori, l'Aams sta preparando dei bandi per affidare ad altre concessionarie la gestione delle slot machine. Comunque sia nei giorni scorsi, proprio alla vigilia della scadenza delle concessioni, e sotto la pressione di parte del mondo politico che chiede da più parti maggior trasparenza, i Monopoli hanno già deciso di inasprire le regole obbligando tutta la filiera, concessionari, gestori, produttori ed esercenti, ad esibire il certificato antimafia. In altre parole, una fedina penale limpida. È un inizio.
Ma il mondo politico, alla vigilia del rinnovo delle licenze e dell'apertura del settore e nuovi operatori, è in fermento. Proprio nei giorni scorsi nella VI commissione Finanze della Camera il deputato idv Francesco Barbato ha presentato una risoluzione (primo firmatario Antonio Di Pietro), "per impegnare il governo a vietare la partecipazione alle gare di appalto alle società i cui soggetti partecipanti o controllanti siano residente in "paradisi fiscali" o al di fuori della Ue". Nella sua risoluzione, Barbato chiede anche che il governo "si attivi per contrastare più efficacemente il preoccupante fenomeno del gioco minorile". Mentre si riapre la partita dei padroni del gioco d'azzardo, infatti, il fenomeno diventa sempre più preoccupante. I casi di ludopatia accertati sono già 100 mila. E l'incremento della spesa media procapite annua per le scommesse legali è arrivata in Italia a 906 euro. Il triplo degli Stati Uniti. Alla faccia dei casinò di Las Vegas.
di Alberto Custodero
repubblica.it