lunedì 4 giugno 2012

Cassazione: Dell'Utri fu mediatore tra la «vittima» Berlusconi e la mafia

Pubblicate le motivazioni: deve essere provato il concorso esterno tra il 1977 e il 1982. Non certo l'appoggio mafioso a Forza Italia


(Ansa)(Ansa)
MILANO - Il senatore Marcello Dell'Utri è stato il «mediatore» dell'accordo protettivo per il quale Berlusconi, in «posizione di vittima», pagò alla mafia «cospicue somme» per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari. Lo ha scritto la Corte di cassazione nelle motivazioni della sentenza che ha annullato con rinvio la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa al politico palermitano. Il processo di secondo grado, con questo rinvio, dovrà essere rifatto a Palermo davanti ad altri giudici. La prescrizione del reato inizialmente era prevista per il giugno 2014, ma la stessa Cassazione evidenzia come al processo d'appello bis potrebbe essere applicato «il regime della prescrizione antecedente alla riforma del 2005, che valorizza il reato continuato». Così i termini della prescrizione cambierebbero «in pejus» per Dell'Utri e i tempi per la prescrizione stessa potrebbero allungarsi. FORZA ITALIA - La questione politica, però, dovrebbe rimanere a margine. La Corte, infatti, sottolinea che i pagamenti di Silvio Berlusconi a Cosa Nostra per questioni di sicurezza non fanno discendere come un teorema «irresistibile», la conseguenza che la mafia, vent'anni dopo, abbia appoggiato l'ascesa di Forza Italia. «È infatti evidente - scrive la Cassazione - che non è una regola generale quella per cui un continuativo rapporto illecito su base patrimoniale con Cosa Nostra, di per sé gratificata per un certo arco di tempo dalla apertura del canale privilegiato di comunicazione con l'imprenditore Berlusconi, possa avere implicato, come risposta, da parte della stessa associazione, una necessaria e naturale disponibilità al sostegno di iniziative di tipo politico, assunte dopo un ventennio dall'inizio dei primi rapporti, che il soggetto "estorto" intendeva assumere».
LA DIFESA: PER 30 ANNI MANCANO LE PROVE - L'avvocato del senatore Massimo Krogh ha voluto sottolineare in un'intervista all'agenzia Ansa come, per la difesa, questa sentenza sottolinei che il «vero motivo dell'annullamento della condanna per concorso esterno» sia «che dal 1978 ad oggi mancano prove del reato che gli viene contestato. Tutto quello che la Cassazione dice del periodo precedente non conta, ormai è prescritto». Krogh sottolinea come il percorso argomentativo del giudizio di secondo grado sia stato parzialmente censurato e come questo comporti che nel nuovo procedimento si debba «esaminare e motivare» «se il concorso esterno contestato sia oggettivamente e soggettivamente configurabile, a carico del ricorrente, anche nel periodo di assenza dell'imputato dall'area imprenditoriale Fininvest e società collegate (periodo intercorso, secondo la sentenza impugnata, tra il 1978 e il 1982); se il reato contestato sia configurabile, sotto il profilo soggettivo, anche nel periodo successivo a quello appena indicato».
IL RINVIO E GLI ANNI 1977-1982 - Il rinvio della sentenza d'appello è del 9 marzo scorso: era stata la difesa del senatore a presentare un ricorso contro la condanna a sette anni, mentre la procura generale ricorreva chiedendo un aggravio di pena, sostenendo che il reato è proseguito anche dopo il 1992. Secondo la Cassazione, però, deve ancora essere provato il concorso esterno di Dell'Utri a favore di Cosa Nostra per gli anni che vanno dal 1977 al 1982, periodo durante il quale il senatore non lavorò più per Berlusconi ma venne assunto «alle dipendenze di imprenditore diverso e autonomo, il Rapisarda». Secondo la Suprema corte, per quegli anni nel verdetto d'appello c'è «un totale vuoto argomentativo per quanto concerne la possibile incidenza di tale allontanamento sulla permanenza del reato già commesso».
I TERMINI - Questo «vuoto argomentativo» deve essere colmato, «ove ricorrano gli elementi», «non potendo darsi ingresso a presunzioni basate sulla bontà dei rapporti di amicizia con Berlusconi» i quali «da soli non provano il perdurare della intromissione di Dell'Utri in affari penetranti per la vita individuale dell'imprenditore dal quale si era allontanato, atteso che di ciò non risultano esplicitate neppure la ragione e le modalità concrete del concorso nei versamenti che si dicono comunque avvenuti, materialmente dunque anche ad opera di terzi, a partire dal 1978». Viene quindi chiesta ai giudici palermitani una nuova analisi che si riveli «indicativa della definitiva fine della permanenza del reato fino a quel momento consumato» con «evidenti riflessi» sul calcolo della prescrizione, oppure, aggiunge la Cassazione, che «potrà risultare compatibile, con motivazione diversa però da quella qui cassata, con il costrutto accusatorio». A cambiare in maniera afflittiva i tempi della prescrizione, inoltre, potrebbe essere il caso di un'attività non interrotta e poi ripresa, poiché i termini decorrerebbero allora «dall'ultima delle condotte dell'imputato di cui il giudice del rinvio possa sostenere motivatamente che è la oggettiva e soggettiva manifestazione della protrazione della condotta anti-giuridica in esame», poichè «troverebbe applicazione in regime della prescrizione antecedente alla riforma del 2005, che valorizza il reato continuato».
LO STALLIERE - Sono 146 le pagine delle motivazioni della sentenza 15727: secondo la Cassazione i giudici della Corte d'appello di Palermo hanno valutato in maniera «corretta» le «convergenti dichiarazioni» di più collaboratori sul tema «dell'assunzione, per il tramite di Dell'Utri» dello stalliere Vittorio Mangano «ad Arcore, come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa Nostra». Viene ritenuta provata anche la «non gratuità dell'accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore della mafia». Ancora, si legge, che l'ingaggio di Mangano «indipendentemente dalle ricostruzioni dei cosiddetti pentiti, è stato congruamente delineato dai giudici di merito come indicativo, senza possibilità di valide alternative, di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell'Utri che, di quella assunzione, è stato l'artefice grazie anche all'impegno specifico profuso da Cinà». Gaetano Cinà, amico personale di Dell'Utri e ritenuto il padrino della famiglia Malaspina fino al 2006, anno della morte, secondo la sentenza d'appello è stato il contatto diretto tra Dell'Utri, e quindi Berlusconi, ed influenti esponenti mafiosi come Stefano Bontate, che così nel 1974 è stato in visita in un ufficio di Berlusconi non meglio precisato, probabilmente la sede di Edilnord.
BERLUSCONI, LA NECESSITÀ E L'ARRICCHIMENTO - Anche in riferimento a questi episodi, però, i giudici sottolineano comunque che lo stato di necessità di Berlusconi non è sempre stato alla base del patto con la «consorteria mafiosa», dato che all'inizio non era «connotato e tantomeno sollecitato da proprie azioni intimidatorie, oltre che finalizzato alla realizzazione di evidenti risultati di arricchimento». Di conseguenza «non vi è ragione di negare ingresso alla tesi dei giudici secondo cui i pagamenti effettuati da Berlusconi avevano sì, natura necessitata perchè ingiustamente provocati, all'origine, da spregevoli azioni intimidatorie poste in essere in danno alla sua famiglia, ma non l'avevano avuta, ai tempi, in riferimento ai rapporti con Dell'Utri, e con Bontade e Teresi e l'associazione che essi immediatamente rappresentavano: soggetti, dunque, che erano stati evocati in una trattativa che, all'origine,appariva concepita "alla pari", per il conseguimento di un risultato che, così come avrebbe potuto e dovuto essere perseguito presso le istituzioni all'uopo previste, era stato invece cercato presso chi era parso capace di garantire un servizio di sicurezza di tipo privato e particolarmente efficace e affidabile».
Redazione Online

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